|
La terapia familiare Tra i primi significativi lavori sperimentali relativi all’approccio sistemico familiare, vanno sottolineate le ricerche effettuate con l’obiettivo di collegare le interazioni comunicative della famiglia ai sintomi dominanti della stessa o di uno dei suoi membri. In quest’ottica il sintomo manifestato dalla persona viene considerato espressione di un disagio che riguarda la famiglia e il suo stile comunicativo. Collegando diversi tipi di sintomi a differenti “stili di comunicazione” della famiglia, diversi autori hanno tracciato mappe relative alla comunicazione distinguendo alcune sequenze tipiche che, seppure possono essere riscontrate nella “normale” interazione tra individui, possono essere causa di dinamiche disfunzionali se diventano rigide. Ne sono esempi l’escalation nella comunicazione simmetrica, riscontrabile ad es. nelle coppie che litigano irrigidendosi sulla propria posizione perdendo di vista i contenuti della comunicazione; e l’interazione di tipo sado-masochista della sequenza complementare di comunicazione, in cui ciascun partner agisce e comunica con una modalità complementare a quella dell’altro.
Mentre le ricerche della scuola di Palo Alto e di Watzlawick sono orientati ad individuare tipoloigie di interazione e modalità comunicative della famiglia, gli studi di Minuchin permettono di distinguere diverse tipologie dell’organizzazione familiare. L’autore definisce in particolare le famiglie “disimpegnate”, caratterizzate da mancanza o scarsa presenza di legami o connessioni tra i membri; e famiglie “invischiate”, i cui membri appaiono al contrario “eccessivamente” connessi. In quest’ultima situazione si parla di eccesso di omeostasi, ovvero mancanza di differenziazione tra i membri della famigia, e di mancanza di confini ben definiti (ne è un esempio tipico l’inversione dei ruoli tra genitori e figli). Ripristinare dei confini adeguati tra i sottosistemi della famiglia (il sottosistema dei figli, dei genitori, ecc.) e la differenziazione dei rispettivi ruoli rappresenta uno tra gli obiettivi del lavoro di terapia familiare.
Le ricerche di autori quali Haley evidenziano come i comportamenti sintomatici di uno o più membri di una famiglia si manifestano durante fasi del ciclo vitale della famiglia in cui il processo di “sganciamento da una generazione all’altra” vengono ostacolati. Ne sono un esempio le situazioni in cui lo svincolo di un figlio (il matrimonio, ‘allontanamento da casa, ecc.) viene impedito o ostacolato quando questi assume un ruolo di mediazione all’interno della famiglia, nel conflitto tra i genitori. Ciascuna famiglia è caratterizzata da un ciclo di vita costituito da tappe (ad es. il matrimonio, la nascita dei figli, ecc.)attraverso le quali il sistema famiiare (e i suoi membri) si riorganizza. Nella terapia familiare i colloqui con il professionista possono essere svolti con il singolo, con la coppia o con la famiglia comprensiva di tutti o di alcuni dei suoi membri. Le problematiche presentate vengono lette secondo un’ottica sistemica piuttosto che individuale. Si parla ad esempio di sistema disfunzionale, facendo riferimento a interazioni e dinamiche familiari che generano o contribuiscono al disagio dell’individuo, “paziente designato”, i sintomi del quale sono cioè espressione di un intero sistema (la famiglia), che “funziona in modo inadeguato”. Sulla base di questa teoria (approccio strutturale), poichè il sintomo è espressione di un sistema familiare disfunzionale, il terapeuta può intervenire come un “intruso attivo” per “disegnare una mappa” delle interazioni tra i membri e favorire una nuova e più funzionale organizzazione del sistema familiare. |
|