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I disturbi dell’alimentazione: il mpunto di vista dei familiari. In passato il disturbo dell'alimentazione veniva spesso considerato espressione del disagio del nucleo familiare al quale la persona apparteneva.
E’ estremamente frequente per i familiari sentirsi in colpa o in qualche modo responsabili se non delle cause, quanto meno della gestione della situazione problematica della persona, per la quale ci si sente quasi inevitabilmente chiamati a trovare una soluzione. Le domande rispetto al "cosa fare" e al come comportarsi di fronte ad un comportamento problematico, di fronte al rifiuto del figlio di sedersi a tavola con la famiglia o di nutrisi, di fronte alle abbuffate e ai comportamenti di eliminazione (vomito, lassativi, ecc.), diventano parte della quotidianeità della famiglia, al procedere della patologia della persona. Spesso le famiglie cercano di trovare risposta a tali domande e soluzioni alla situazione problematica intervenendo con comportamenti ed atteggiamenti dettati dal buon senso, ma che non sempre risultano efficaci, considerando che è estremamente difficile per un familiare trovare la "giusta soluzione" ad un problema che lo coinvolge così da vicino e in modo così intenso. Alcuni tra i comportamenti considerati in genere poco funzionali sono i tentativi di controllare in modo diretto o di nascosto il comportamento alimentare del familiare (tra questi vi è ad es. il proporre a tavola cibi molto conditi e ricchi di calorie offrendoli insistentemente nonostante il rifiuto della persona); o gli atteggiamenti volti a mortificare e svalutare il proprio familiare che si abbuffa quotidianamente; o ancora il proporre regole poco chiare che favoriscono confusione e conflitti nella famiglia. D'altra parte, cosa fare se si scopre che il proprio patner, figlio o amico fa un uso inadeguato di diuretici o lassativi, o si induce il vomito quotidianamente, o ha smesso completasmente di nutrirsi, dato che sicuramente il "far finta di nulla" sperando che "passi" non può essere di aiuto ma anzi può venir interpretato come una mancanza di interesse e attenzione per chi soffre e cerca aiuto? Sicuramente il primo importante passo che un genitore, partner o amico può fare rispetto al proprio ruolo e responsabilità nei confronti della persona con disturbo dell'alimentazione ha a che fare con l'accettazione dei propri limiti: limiti rispetto alla possibilità di "salvare" il familiare o comunque di contribuire in modo determinante alla sua guarigione; limiti rispetto alla possibilià di controllare i comportmenti disfuzionali (quali il vomito ad es.) o di evitare il disagio della persona. Cercare inoltre un sostegno per sè può sicuramente aiutare il familiare (genitore e partner soprattutto) ad affontare la frustrazone e l'impotenza con le quali si trova a convivere, e a gestire tali sensazioni in modo adeguato per sè e per la relazione con la persona con disturbo alimentare. E’ fondamentale, soprattutto nella convivenza con la persona con disturbo dell'alimentazione, acquisire consapevolezza rispetto alle modalità di comunicazione utilizzate, consapevolezza rispetto al controllo o al comportamento di invasione che spesso il genitore attua nei confronti del figlio, ovviamente preoccupato per la sua salute; consapevolezza dei limiti che il ruolo di familiare “impone” rispetto alla possibilità di fornire aiuto. |
Ida Lopiano © 2007 |